Intervista ad ENRICO RUGGERI
Ho notato ai tuoi concerti che hai un rapporto molto diretto coi tuoi fans…
La parte più divertente del mio lavoro è di gran lunga quella di fare concerti, ovviamente. Vai in giro coi tuoi amici, vedi delle città, rivedi gente che non vedi da anni, quindi è un modo per divertirsi e andare a trovare la gente e anche il concerto risente di questo. Il fatto che io sul palco abbia sempre avuto delle persone con le quali ho sempre avuto un buon rapporto interpersonale o addirittura che erano proprio amici penso si rispecchi nel concerto.
Nelle tue canzoni ci sono alcuni temi che ricorrono e mi piacerebbe approfondirne qualcuno con te. Il primo che mi viene in mente è il “mi devo raccontare”, perché senti così pressante il bisogno di raccontarti con le tue canzoni?
Ovviamente le mie canzoni sono parecchio autobiografiche, non sono solo il sistema per raccontarmi, ma anche per conoscermi meglio, ci sono cose di me stesso che non mi sono perfettamente chiare fino al momento in cui le imprimo in una canzone. Io interpreto il concetto di autobiografia in senso abbastanza ampio. Ad esempio incontro una persona quando scendo a comprarmi le sigarette e mi fermo un minuto a parlare con lui, questo magari mi racconta una cosa apparentemente insignificante della sua vita e io ci costruisco sopra un castello, quindi è una via di mezzo fra l’autobiografia e la fantasia, un volo pindarico. “Il Portiere di Notte”, per esempio, è nata perché col mio lavoro ho conosciuto migliaia di portieri di notte, per cui da li ho pensato “che lavoro strano stare li tutta la notte ad organizzare la vita degli altri.” Da una considerazione apparentemente non poetica poi ho costruito la storia di questo portiere di notte trasferito in un albergo quasi di malaffare, che si innamora di una prostituta che opera in quell’albergo.
A volte ho avuto l’impressione che tu ti senta un po’ incompreso…
In verità siamo tutti un po’ incompresi, nel senso che tutto quello che abbiamo dentro è difficile che arrivi esattamente così com’è al nostro prossimo. Quando scrivi una canzone spesso poni l’accento sulle cose più spettacolari e che a volte sono anche quelle più negative della vita, ad esempio mi è capitato ancora di avere un piccolo diverbio con la fidanzata e poi di scrivere una cazone dove due si lasciano e non si vedranno più, quindi è anche un po’ una deformazione quella di amplificare le cose che ti succedono, anche in negativo, per renderle più spettacolari.
Oggi si sente dire che la comunicazione è in crisi e sembra un paradosso perché viviamo nell’epoca della comunicazione totale, in effetti la gente preferisce comunicare con le chat con le e-mail con gli sms, oppure guarda trasmissioni dove altri comunicano e poi non riesce a parlare col proprio vicino di casa… tu cosa pensi di questa situazione?
Non è che la comunicazione sia in crisi, sta cambiando il modo di comunicare. Abbiamo tutti un po’ paura evidentemente, non c’è altra spiegazione del perché uno passi la notte a chattare con uno di Melbourne e poi la mattina faccia fatica a salutare il vicino di pianerottolo o che addirittura ignori chi è che vive al di la del muro di casa sua. Evidentemente la tecnologia ha esasperato quello che c’è che non va in noi, siamo diventati un po’ diffidenti e un po’ ostili. E’ come quando da ragazzo incontravi una persona e magari passavi tutta la notte a raccontargli la tua vita, mentre a tuo fratello non dicevi niente, è un po’ insito nell’intimo umano. Per quanto riguarda invece quelli che comunicano in televisione io ho l’impressione che sia veramente tutto finto, è tutto in funzione dello spettacolo, addirittura anche le cose “vere” diventano spettacolo. Nel momento in cui vai in televisione non sai più esattamente quanto sei sincero, è il mezzo che ti porta in qualche modo a sdoppiarti e a recitare.
Un’altra immagine simbolo che usi spesso è quella della fotografia, che rapporto hai con questo ogetto/strumento?
Per altro è strano, perché non ho un rapporto molto stretto, intanto non ho la macchina fotografica. Ogni tanto qualche amico mi chiede di scattare una foto, ma vengono sempre mosse perché sono un disastro a scattare le foto. E’ più una metafora, tra l’altro quando mi danno i servizi fotografici da valutare, mi annoio subito. Quindi è assolutamente più una metafora piuttosto che un amore vero nei confronti del mezzo, la metafora di quello che ti porti dentro. L’album di fotografie, per come lo vivo io nelle canzoni, è più una cosa interiore, una serie di immagini e di ricordi che non hanno necessariamente bisogno di essere impressi in una fotografia.
C’è un terreno musicale in cui non ti sei ancora spinto e che ti piacerebbe affrontare?
Le colonne sonore, mi piacerebbe lavorare almeno una volta nella vita per il cinema. Soprattutto in un periodo dove il singolo deve durare due minuti e mezzo, le radio ti impongono una serie di limiti, non che io mi faccia condizionare, però è pesante sapere che in qualche modo la mia musica dovrà confrontarsi con la sintesi in qualsiasi momento. Aver la possibilità di lavorare su un film che dura un’ora e mezza mi farebbe bene.
C’è un genere in particolare che preferiresti?
Magari non Vacanze sul Nilo, nel momento in cui un regista dovesse chiedere una colonna sonora a Ruggeri, probabilmente vuol dire che ci devono essere delle sintonie.
Qual è la tua sfida più grande per il prossimo futuro?
Professionalmente la sfida oggi è rimanere. Oggi il mondo cambia sempre più velocemente e il fatto di fare un concerto e vedere un quindicenne che canta una canzone che è stata scritta quando lui aveva meno dieci anni è molto gratificante. Poter continuare a fare le cose che faccio per me è già una grande sfida.
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